I segni del sacro sulle montagne


Pubblicazione del : 2006

Nel gennaio 2006 la Fondazione ha preso l’iniziativa di organizzare, nell’ambito della Sfinge Alpina, un Convegno sul tema “I segni del sacro sulle montagne”; la tematica è stata introdotta dal Presidente Stefano Tirinzoni che ha evidenziato come l’intento della riunione fosse quello di volersi interrogare non tanto sul senso o attributo del sacro della montagna e delle sue cime, quanto approfondire il tema della ierofania, della manifestazione del sacro, della costruzione ed edificazione o posa dei segni del sacro sulle parti sommitali dei monti. 
I segni del sacro sono le varie modalità di rappresentazione delle forme e dei simboli delle religioni: croci, statue, lapidi, incisioni lapidee, altari, chorten, cippi, tarcho, lung-ta, ecc.. Il confronto di opinioni è stato stimolato da due avvenimenti che hanno in Valtellina caratterizzato lo scorrere della estate 2005: si tratta della lapide-bassorilievo raffigurante il Papa Giovanni Paolo II collocata sul passo di Val Fontana nel gruppo del Pizzo Scalino (alcuni hanno anche proposto di mutare il nome geografico storico della Cima di Val Fontana in Cima Wojtyla) e della posa di una sorridente statua di Budda sulla cima del Pizzo Badile. 
Il professor Annibale Salsa ha portato il contributo del punto di vista dell’antropologo inquadrando il tema nel processo di secolarizzazione e laicizzazione dell’Occidente e nella prospettiva di una crescente multireligiosità; il sacro fa parte integrante dell’esperienza dell’uomo “naturaliter religiosus”; è necessario però saper distinguere religiosità da religione, in quanto l’uomo, percependosi come autolimitato e sentendo il bisogno di relazionarsi con un ente o con una potenza superiore (cratofania), ha da sempre cercato un’ulteriorità di significati ed avvertito il bisogno costituzionale del sacro; l’uomo è naturalmente proiettato verso la religiosità, ma non necessariamente anche verso la religione. La montagna è di per sé sacra e non ha bisogno né di simboli né di segni; i crocefissi lignei nei villaggi montani erano un’autentica espressione del vissuto delle genti; le croci sulle vette sono solo un’espressione di volontà di potere e di potenza, sono un modo per segnare il territorio, rappresentano un segno di dominio. 
Don Augusto Bormolini, Parroco di Tresivio, ha esposto la visione della religione Cristiano Cattolica; ricordando il rapporto del Cristo con la montagna (discorso della montagna, monte Calvario, monte degli Ulivi) ha posto in evidenza come sul senso della Croce, che è un simbolo come la parola, si sia spesso equivocato; la croce di per sè è uno strumento di morte, un segno di morte e di pena come la ghigliottina; è il Cristo Crocefisso che da senso alla croce. Ha richiamato l’attenzione sul fatto che i Cristiani dovrebbero sempre avere l’umiltà, bandendo l’arroganza, nell’usare la Croce come strumento per togliere le barriere fra gli uomini e fra gli uomini e Dio, come simbolo di potere, come affermazione, come espressione del “qui comandiamo noi”; anche oggi si assiste ad un rinnovo di anacronistici atteggiamenti da crociata che non tengono in conto che la situazione è radicalmente cambiata e che vi sono molte altre religioni e posizioni con le quali rapportarsi. 
L’Imam Omar Benini, presidente del Centro Culturale Islamico di Sondrio, ha ricordato che la religione mussulmana è dopo l’Ebraismo ed il Cristianesimo la terza religione apparsa al mondo e che ha molti punti in comune con le altre religioni; nel Corano, dove si parla di tutto e si cita per ben quaranta volte la montagna, vi è la fede nel destino, bello o brutto che sia. Il rapporto fra fede e montagna nel-l’Islamismo si legge nell’abitudine di Maometto di recarsi nelle grotte di montagna alla ricerca della realtà e del creatore dell’universo e del motivo della vita e della esistenza. Nella cultura islamica le raffigurazioni di Dio e della figura umana sono proibite e quindi, a maggior ragione sulle montagne, i mussulmani non collocano né segni nè simboli del sacro. 
Alessandro Tensin Villa ha portato il punto di vista della religione buddista ricordando che l’importante è non farsi abbagliare dalle cose materiali, dalle “cose prive di sé” e che bisogna sconfiggere il materialismo e cercare e trovare il “sé della montagna”. Le montagne sono rispettate e sono considerate sacre proprio perché sono ambienti nei quali si possono imparare la pazienza e la meditazione; è necessario un atteggiamento di non attaccamento alla montagna, non possessivo nei confronti degli oggetti; sacro nel buddismo è ciò che “è in quel momento”; i tibetani considerano sacre le cose che hanno e gli oggetti di culto vengono conservati e ognuno li visita con una propria intima motivazione. 
Il dottor Giorgio Villella ha esposto la posizione dell’Unione degli atei e agnostici razionalisti ponendo in evidenza il clima di strapotere clericale vigente in Italia e gli aspetti di anacronismo del clericalismo in un’epoca caratterizzata da un forte calo del tasso di religiosità; ha affermato che l’ateismo è sempre stato presente nella natura umana. La Chiesa manifesta ancora posizioni di supremazia (i crocefissi nelle aule scolastiche ne sono un esempio) e crede che tutto le sia permesso, anche la posa di manufatti sulle montagne spesso in mancanza delle prescritte autorizzazioni edilizie e paesistiche. La Croce viene usata come strumento di normalizzazione della natura e solo per segnare il territorio. 
Il professor Ivan Fassin, cultore di etnografia, ha affermato che non si possano mettere in discussione i simboli ed i segni del sacro storicizzati dal passato; incisioni rupestri, cappelle, edicole, chiesette in ambito alpino, Vie Crucis e Sacri Monti, ma anche lapidi a ricordo di caduti, sono simboli di una reale presenza della religione cattolica sulle montagne. La collocazione dei segni del sacro sulle cime si scontra anche con problemi di tutela del paesaggio. Rimane latente comunque una certa voglia di altri segni e di altra sacralità che si manifesta nel bisogno di trasportare simboli in un luogo per sacralizzarlo. Differenze vanno quindi lette fra il senso autentico dei simboli della sacralità come espressioni di una religiosità vissuta sugli alpeggi e nei nuclei abitati delle valli, come ragioni di esistenza, come momenti di vita, e l’estraneità dei simboli sulle vette, dove non vi è mai stata vita vissuta, ma solo una saltuaria frequentazione turistica.